05 gennaio 2007

Antitrust: "Sì ai diritti tv centralizzati"

Il giocattolo si è rotto e per rimetterlo in moto, bisogna cominciare a dividere i diritti televisivi in parti uguali tra le 20 squadre di serie A. Poi, bisogna attaccarsi ai diversi conflitti di interesse tra procuratori, club, figc-lega, Coni, ... . Se ne resa conto anche l'Antitrust che non più tardi di oggi ha pubblicato i risultati dell'indagine svolta sul calcio professionistico. L'indagine svolta dall'Autorità ha messo in luce, attraverso simulazioni effettuate sulla base dei sistemi di vendita adottati in altri Paesi europei, come il regime di vendita e ripartizione dei diritti televisivi esistente in Italia abbia accentuato gli squilibri di tipo economico tra società maggiori e minori.

Per più dettagli, ecco a voi l'articolo (tirato dal sito www.sports.it):
"Sì alla vendita centralizzata dei diritti tv per il calcio, ma non imposta per legge e con nuovi criteri di mutualità da affidare ad un organismo indipendente per garantire un campionato più combattuto", si legge nel documento del garante. Secondo l'Autorità è inoltre necessario rivedere i legami fra Figc-Lega, recidere i conflitti di interesse e dare nuovi assetti al settore degli agenti, oltre a migliorare lo sfruttamento delle risorse e il tesseramento in corso di campionato deve essere un'eccezione.Il primo punto dell'indagine conoscitiva relativa al settore del calcio professionistico dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato riguarda le entrate del sistema calcio che non devono dipendere solo dai diritti tv. L'analisi delle entrate delle società di calcio professionistiche ha messo in luce uno scarso sfruttamento di alcune fonti di ricavo e, al contempo, "una forte dipendenza delle stesse società dai diritti audiovisivi", che rappresentano oltre il 40% dei ricavi delle società di Serie A, mentre il 12% arriva dagli sponsor. "Le attività di merchandising rappresentano invece un'entrata oggi poco rilevante per le società in Italia, costituendo - in media - meno dell'1% delle entrate totali delle stesse, con riferimento alla Serie A. L'indagine ha evidenziato come tale circostanza sia principalmente da attribuire all'eccessiva diffusione della contraffazione dei marchi, che disincentiverebbe le società dallo sviluppare le attività di merchandising, per lo meno nella sua accezione tradizionale". L'antitrust individua un altro rimedio, che in Italia sembra però di difficile attuazione. "Anche la quotazione in borsa potrebbe rappresentare un'importante fonte di finanziamento necessaria al raggiungimento di un maggiore equilibrio competitivo nei campionati. Tuttavia, le società italiane non sembrano godere di una solida patrimonializzazione: ciò è principalmente dovuto al fatto che non differenziano appieno le entrate e non dispongono della proprietà delle strutture sportive". La vendita centralizzata, come facoltà e non come obbligo". E' questo il principio che secondo l'Antitrust si dovrebbe seguire in Italia per la contrattazione dei diritti tv. In questo modo, secondo il garante, si potrebbe migliorare la situazione "ma il vero problema consiste nell'inadeguatezza del vigente meccanismo di ripartizione delle risorse adottato in Italia: l'attuale sistema, prevedendo che le società debbano versare ai fini mutualistici il 19% dei loro proventi totali, non realizza appieno le tipiche esigenze solidaristiche che connotano il fenomeno sportivo se confrontato con i meccanismi adottati in ambito europeo. Soprattutto in Francia, ad esempio - si legge nel documento - una quota maggioritaria è distribuita in parti eguali tra le società e una quota pari al 5% dei proventi viene attribuita allo Stato per promuovere e sovvenzionare i settori giovanili nonché contribuire alla crescita degli altri sport". In particolare, con riferimento alla Serie A, l'indagine ha messo in luce come, in merito ai compiti di ripartizione dei proventi da diritti televisivi, "le Leghe, in quanto rappresentative delle società cui devono essere applicate le stesse regole di redistribuzione delle risorse, non sono i soggetti adatti alla definizione di tali regole. All'interno delle Leghe, infatti, possono verificarsi conflitti di interessi, ad esempio in capo a società i cui rappresentanti siedono negli organi delle Leghe e che, in ragione di tali incarichi, potrebbero trovarsi nella condizione di influenzare a loro vantaggio le scelte sulla ripartizione dei proventi da diritti televisivi". Pertanto, l'Autorità ritiene che i compiti di ripartizione dovrebbero essere attribuiti ad un "soggetto terzo", o quantomeno ad un organismo indipendente che risponda alla Figc sulla falsariga della Covisoc. In tal senso, quindi, occorrerebbe stabilire che la ripartizione avvenga in modo da: destinare una parte significativa dei proventi alle finalità mutualistiche, quindi a vantaggio delle società di Serie A e B e del sistema calcio nel suo insieme. Attribuire una parte non residuale dei proventi sulla base di criteri meritocratici, prescindendo pertanto dai valori relativi al bacino d'utenza delle singole squadre che nulla hanno a che vedere con il merito sportivo. Riconoscere all'organo tecnico la facoltà di modificare le quote ripartitorie a seconda delle esigenze che nel tempo si vengano a manifestare."

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